Lo Sviluppo dell'Omeopatia

Le sperimentazioni condotte fa Hahnemann su se stesso furono senza dubbio tra i primi esempi di ricerca clinica.
Da allora la ricerca medica si è evoluta considerevolmente, benché fino al 1980gli studi clinici rigorosi sull'efficacia dell'omeopatia siano stati rari.
Poiché la ricerca farmaceutica viene finanziata dall'industria stessa, si è sempre rilevato difficile reperire i fondi necessari per l'omeopatia, esclusa peraltro dagli ambienti universitari, ospedalieri e di laboratorio.
A svantaggio di quest'ultima si aggiunga il fatto che la scelta del medicinale omeopatico appropriato per un determinato paziente dipende in larga misura dall'esperienza e dalla capacità valutativa del singolo professionista. Uno dei problemi principali connessi con gli studi clinici è dato dall'effetto placebo. Le ricerche condotte da D.Taylor-Reilly a Glasgow, in Scozia, nel 1986 hanno tuttavia dimostrato un miglioramento statisticamente significativo nei pazienti trattati con i medicinali omeopatici, non attribuibile solo all'effetto placebo.
In proposito il Dott. Taylor-Reilly ha dichiarato che o l'omeopatia è davvero efficace o gli studi clinici non lo sono affatto. I risultati delle metanalisi, ovvero un ampio gruppo di indagini cliniche analogiche analizzate come se fossero un unico studio, hanno spesso fornito dati più rilevanti delle ricerche condotte su scala ridotta. Tra le metanalisi più autorevoli si ricordano quell e del prof. J.Kleijnen, pubblicata sul British Medical Journal  nel 1991, del dott. J.P.Boissel, promossa dalla Comissione Europa e pubblicata a Bruxelles nel 1996, e del dott. K.Linde e colleghi, apparsa su Lancet nel 1997. Tutte e tre sono state condotte da ricercatori indipendenti, scettici nei confronti dell'omeopatia, i quali, nonostante i tentativi di dimostrare il contrario, hanno infine ammesso che gli effetti di questa medicina complementare vanno ben oltre il placebo. Studi affidabili nel campo dell'omeopatia veterinaria, eseguiti nel 1984 dal britannico C. Day, indicano che l'azione dei medicinali omeopatici non può essere imputata semplicemente all'effetto placebo, visto che si riscontra anche negli animali, insensibili a tale fattore. Numerose sperimentazioni indipendenti hanno dimostrato la validità dell'omeopatia nel trattamento di determinate patologie, come lo studio dell'artrite reumatoide condotto nel 1980 a Glasgow da R.G. Gibson e quello sulla diarrea effettuato nel 1994 in Nicaragua dal pediatra statunitense J.Jacobs. L'omeopatia si è inoltre rilevata utili nella terapia dell'odontalgia e durante la dentizione, come dimostrato un'indagine francese del 1985, condotto a Lione da P.Berthier, e una tedesca pubblicata nel 1994 da A.Vestweber su Erfahrungsheilkunde.
Sul piano teorico si sta attualmente cercando di capire come i medicinali omeopatici possono essere efficaci in diluizioni tanto elevate da non residuare nell'acqua alcuna molecola dell'ingrediente base. In proposito le ricerche suggeriscono che l'acqua "ricordi" una sostanza o che questa lasci "un'impronta molecolare". Ulteriori studi sono attualmente in corso per stabilire le proprietà dei medicinali omeopatici a livello energetico o quantistico.

Una valida alternativa
Oltre agli studi clinici, numerose indagini, pur non condotte in doppio cieco e non controllate, hanno valutato l'opionione dei pazienti a proposito del trattamento. Quelle svolte presso l'ospedale omeopatico di Glasgow, in Scozia, su individui già sottoposti, peraltro con successo, a terapie mediche convenzionali per determinare malattie, tra cui la depressione, la sclerosi multipla e il cancro, hanno rilevato una diminuzione significativa del ricorso alla medicina ufficiale da parte di quest'ultimi.
Sebbene tali studi siano svolti in condizioni non controllate, hanno importanti implicazioni sia per la salute dei pazienti sia per la spesa sanitaria: essi indicano, infatti, la possibilità di impegnare medicinali meno costosi, di diminuire il numero dei ricoveri e i costi relativi alla gestione degli effetti collaterali indotti dai farmaci allopatici. Un lavoro pubblicato nel 1998 dalla Facoltà britannica di Omeopatia documenta i vantaggi sia per il paziente che per la spesa pubblica.
In molti Paesi occidentali si assiste oggi a un parziale distacco dalla medicina convenzionale e a un avvicinamento a un approccio più "olistico", rivolto cioè alla persona nella sua interezza. La classe medica manifesta un crescente interesse riguardo alla ricerca di nuove possibilità terapeutiche che integrino le medicine complementari, tra cui l'omeopatia. Tutto ciò si deve in parte all'aumento dei costi sanitari, gli allarmanti effetti collaterali di alcuni trattamenti e agli insuccessi della medicina convenzionale nella terapia di malattie quali il cancro. Tuttavia, per poter realizzare tale integrazione, è necessario raggiungere standard elevati nella preparazione, nella pratica e nella ricerca omeopatica. Lo sviluppo ultimo è far sì che l'omeopatia venga praticata da professionisti qualificati, che operino in conformità con l'etica medica a tutela del paziente e della sua salute. Se sussistono ancora interrogativi di carattere sostanziale in ordine al suo funzionamento, ricerca ed esperienza suggeriscono che l'omeopatia sia, come inizialmente sottolinato da Hahnemann, un approccio sicuro, dolce ed efficace.
I principi attivi sono utilizzati in forma altamente diluita; i medicinali sono sicuri al cento per cento e possono essere somministratia bambini piccoli, donne in gravidanza e anziani. Insomma, l'omeopatia si integra bene con la medicina convenzionale e può essere usata in modo davvero complementare a essa.

L'effetto Placebo

Negli studi clinici sui farmaci, ad alcuni soggetti si somministrava un principio attivo e ad altri un placebo, cioè una sostanza neutra (spesso pastiglie di zucchero), senza che nessuno sappia che cosa assumesse.
Ricerche condotte sul sistema immunitario hanno rilevato che le aspettative dei pazienti possono influenzare il processo di guarigione: poiché questi presumono che il preparato loro somministrato sia efficace, il placebo può davvero avere un effetto terapeutico.
Gli studi clinici sperimentali di solito confrontano l'azione di un farmaco in un campione di soggetti con quella di un placebo nel così detto gruppo di controllo: tra gli effetti positivi registrati viene così incluso anche quello placebo.
Affinché il farmaco studiato venga approvato, il campione sperimentale deve presentare risultati significativamente migliori rispetto a quello di controllo.

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